TABELLA DEI CONTENUTI
Introduzione
Ottenere visibilità per la propria start up o PMI è essenziale per porsi in una condizione di vantaggio rispetto alla concorrenza. Per questo è indispensabile affidarsi a strumenti dedicati che possano garantire uno sviluppo del proprio piano coerente ed efficace. Realizzare un progetto innovativo passa necessariamente da investimenti economici, ma come reperire tali fondi? In questa ottica diventa rilevante il venture capital (VC) di cui si argomenterà nelle prossime righe.
Che cos’è il venture capital?
Quando si utilizza l’acronimo VC (Venture Capital) si identifica quell’apporto di capitali che vengono utilizzati per finanziare la crescita o l’avvio di una società ad alto rischio, ma che prospetticamente hanno delle potenzialità interessanti sia per la crescita che per la redditività a lungo termine. Si può, quindi, considerare il venture capital come un’operazione, o più operazioni d’investimento ad alto rischio che riescono comunque a garantire ai loro investitori exit sufficienti per ottenere ricavi sufficienti anche nel caso di fallimento.
Questa tipologia di investimento è volta principalmente alle società, tra cui le start up. Ovvero associazioni che possono garantire dei margini di crescita esponenziali, ma che potenzialmente potrebbero diventare degli investimenti fallimentari.
Il termine venture capital viene associato a quello di venture capitalist. Cioè l’investitore che mette a disposizione i capitali per avviare il progetto o per renderlo fattibile concretamente. Molti confondono questa figura con quella dell’angel investor, ma non rappresentano la medesima figura in un contesto d’investimento.
Le start up che hanno bisogno di investitori, si affidano ai venture capitalist per garantirsi una base solida da cui partire, offrendo in cambio a coloro che hanno avuto fiducia un piano azionario preferenziale in caso si verifichi un’evoluzione positiva dell’idea proposta su grande scala. Non vi è, quindi, la presenza di un magnate che scommette su un’azienda, ma una forma di finanziamento più sicura che garantisce dei ricavi anche nel caso in cui il progetto non riuscisse.
Come funziona il venture capital?
Il processo di funzionamento di questa forma d’investimento non è così semplice come si possa pensare. Le fasi che vengono a presentarsi sono cinque, anche se si potrebbero estendere a seconda dell’azienda di riferimento e dell’ambito. Quali sono le caratteristiche che avviano il funzionamento di un fondo come il venture capital?
Fondo chiuso: nella gran parte dei casi un fondo di venture capital è chiuso e promosso da un’azienda di gestione del risparmio (SGR) che ovviamente è autorizzata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Con il termine fondo chiuso si identifica quella tipologia di fondo che ha una durata variabile tra i 3-10 anni, con cui gli investitori possono riscattare le quote solo nel momento in cui viene a scadere il contratto. Ulteriore caratteristica è da ricercare nell’impossibilità di aggiungere nuovi sottoscrittori una volta stabilito il numero massimo.
Separazione dei capitali: il venture capital si basa su un fondo separato da quello della SGR che ha avviato la raccolta dei capitali. Ciò si traduce nell’attribuzione di una percentuale base agli investitori su quote del fondo sottoscritte. Si può, quindi, considerare una forma di investimento tutelato, anche se la start up su cui si investe è potenzialmente un affare poco conveniente.
La separazione del fondo consente alle start up di ottenere un trampolino di lancio per la propria idea, ma allo stesso tempo gli investitori non hanno il timore di perdere tutto.
Soci
Il funzionamento del modello di venture capitalist è differente in diversi Paesi, quello anglosassone. Infatti, considera i venture capitalist come soci temporanei, mentre su un territorio diverso questi si mostrano come dei soci a responsabilità limitata. Per quanto possa sembrare una condizione superficiale a chi non si è mai avvicinato a questo ambito, in realtà nel concreto c’è una differenza sostanziale. In alcuni Paesi vi è un minore rischio, anche investendo in progetti particolarmente ambiziosi e probabilmente non realizzabili.
Tempi di investimento: una delle caratteristiche più rilevanti su cui ragionare per il venture capital è quella dei tempi dei versamenti. Quando si sottoscrive una collaborazione tra start up e investitore, quest’ultimo non dovrà versare immediatamente tutto il fondo. Ma potrà farlo secondo i tempi stabiliti in proporzione alle esigenze del progetto.
Una start up con un’idea particolarmente costosa necessita di un fondo iniziale più grande, che andrà a spalmarsi nel corso del tempo. Mentre un progetto di piccole dimensioni sarà proporzionato ai fondi a disposizione.
Garanzia in caso di fallimento: uno dei punti di forza per il venture capitalist risiede nella garanzia contro un eventuale fallimento del progetto e della start up stessa. Sia che vi sia un contratto basato su azioni che su dividendi o altra tipologia di tutela, il sottoscrittore potrà beneficiare di una restituzione privilegiata, ovviamente proporzionale all’investimento effettuato e alla liquidità della società.
Condizione da non sottovalutare è anche la possibilità di rivendita dei titoli acquistati, convertendoli in azioni ordinarie oppure IPO. Non è un caso che questa forma di investimento sia tra le più apprezzate negli ultimi anni da coloro che credono in specifici progetti, potenzialmente eccellenti.
Fornitori principali del venture capital
Nella gran parte dei casi si segue il modello anglosassone di venture capital, in cui i capitali sono variabili e le sottoscrizioni effettuate da più partner, con annessi manager a gestire il tutto. Il sistema di fondo italiano viene gestito principalmente dai venture capitalist che non hanno lo scopo solo di immettere denaro. Ma portano con sé anche competenze manageriali e consulenze strategiche che possono risultare utili nell’operatività del marketing.
Si possono, quindi, trovare due classi di fornitori: istituzionali e privati.
Istituzionali: nel caso in cui gli investitori fossero istituzionali ci sarebbero dei fondi comuni provenienti da banche, associazioni o finanziarie. A cui si possono aggiungere anche holding familiari ed Enti pubblici territoriali. In questi casi sarebbero gli Enti istituzionali stessi a dare supporto al progetto della start up. Diffondendo la campagna marketing sul territorio nel modo migliore possibile.
Privato: in questa condizione gli investimenti vengono forniti da PMI che hanno il desiderio di innovare, puntando sulle start up capaci di offrire qualcosa di originale e potenzialmente utile all’azienda stessa e alla comunità. Questa tipologia di investitore però non mira solo ai vantaggi economici, ma si proietta al futuro appoggiando delle idee che possano incrementare il core business correlato alla propria attività lavorativa. Credere in un progetto di investimento privato è sicuramente lodevole, ma è frutto di un ragionamento che mira a migliorare le condizioni di partenza.
Venture capital: legame con le start up
Come abbiamo visto, il venture capital è strettamente legato alle start up. Riuscire a trovare il progetto migliore, anche se potenzialmente fallimentare, permette di effettuare una forma di investimento proiettata al futuro e potenzialmente utile.
Non tutti i venture capital devono però investire in tutte le fasi di una start up, c’è chi preferisce elargire i fondi dalle prime battute del progetto e chi invece, quando l’idea sta assumendo una forma concreta. Le cifre d’investimento di un seed capital usualmente variano da zero a un milione di euro, nella fase di seed financing; mentre da 1-5 milioni di euro nella fase iniziale denominata early stage.
Nel caso in cui si volesse investire in una start up già strutturata, in cui vi è già una scalabilità evidente, i costi d’investimento possono essere superiori ai 5 milioni di euro. Capire quale sia la start up potenzialmente migliore aiuta a investire meno e a guadagnare di più, anche se i rischi sono notevolmente maggiori.
Venture capital: requisiti richiesti alle start up
Ponendosi in una condizione di sviluppo di una start up, è lecito domandarsi quali siano le caratteristiche da possedere per attrarre dei venture capitalist. Per quanto questa tipologia di investimento venga considerata moderatamente sicura, non è possibile immaginare che tutti i venture capitalist investano in qualsiasi progetto innovativo. Affinché una start up possa catturare l’attenzione di un venture capitalist è necessario possedere almeno cinque requisiti: gruppo, scalabilità, target, brevetti e impatto.
Gruppo
Un requisito importante che una start up o azienda deve possedere per attrarre vc è sicuramente quello di una squadra di lavoro di alto livello. Munirsi di dipendenti e manager che hanno già partecipato a progetti virtuosi rendono il processo di scelta di un venture capitalist molto più semplice.
La qualità di un progetto si misura anche in base alle competenze ed esperienze del team di lavoro, maggiori saranno le professionalità nella squadra di lavoro e più si avrà credibilità agli occhi degli investitori, siano essi privati oppure istituzionali.
Scalabilità
Una start up di livello, che potenzialmente può diventare un progetto importante, basa tutto sull’innovazione e la scalabilità. Riuscire a generare un prodotto oppure un servizio scalabile permette di diffonderlo su tutto il territorio in modo rapido, generando maggiori ricavi e raggiungendo più persone.
I venture capitalist sono alla ricerca costante di idee scalabili, molto utili per avere la garanzia di investimenti limitati, ma di una resa molto alta, soprattutto in ambito digitale. Non è un caso che tantissime applicazioni per smartphone siano nate per essere estremamente scalabili e che non abbiano necessitato di investimenti rilevanti anche per adattarle ai mercati esteri.
Target
Oltre a essere scalabile e composta da un team qualificato, una start up deve caratterizzarsi anche di uno specifico target di riferimento. Non tutti i progetti nascono per assecondare più mercati, alcuni investitori preferiscono affidarsi a progetti che vertano su determinati target, generando soluzioni per una specifica tipologia di utenza.
Creare una start up capace di rivolgersi a un mercato ben definito può essere il modo migliore per attrarre dei venture capitalist che amano quel settore e sono alla ricerca costante di progetti nuovi e interessanti.
Brevetti
I venture capitalist sono propensi a scegliere progetti che siano in qualche modo già tutelanti dell’idea originale. Usualmente le start up più supportate sono quelle che dispongono già di brevetti, proprietà intellettuali o segreti industriali, con cui garantire agli investitori la certezza di fattibilità di un progetto.
I costi per brevettare la propria idea non sono alti, ciò può essere molto utile per ottenere fiducia in chi ha intenzione di investire, ma anche per tutelare le idee stesse da aziende concorrenti che potrebbero replicare e migliorare il lavoro effettuato dalla start up nel corso del tempo.
Impatto
Uno dei parametri più richiesti dai venture capitalist è quello dell’impatto che un progetto può avere nel corso del tempo. Generare un’idea potenzialmente eccellente, ma che non ha margini di durabilità, non sarà con molta probabilità presa in considerazione dagli investitori.
Discorso diverso invece, per un’idea leggermente meno innovativa, ma che può garantire dei margini di crescita costanti. In questo caso il terreno è molto fertile sia le start up che per i venture capitalist. Si sottolinea come ai venture capitalist non interessi l’idea in sé, ma quanto questa possa essere utile per un ritorno finanziario soddisfacente. Un progetto strabiliante non è necessariamente quello più conveniente per ottenere ricavi nel tempo.
Venture capital: panoramica in Italia
Fino a questo momento si è focalizzata l’attenzione su quelle che sono le caratteristiche di un sistema basato sui venture capital, ma la situazione italiana come si adatta a tali dinamiche? Dati alla mano, tutti i finanziamenti basati su venture capital, dal 2018 hanno avuto un incremento notevole, raggiungendo anche cifre intorno ai 400 milioni di euro.
Ma l’Italia non è sicuramente un Paese particolarmente incline a questa tipologia di investimento. Infatti, in Europa centrale e negli Stati Uniti vi è una maggiore attenzione a tale tematica.
Sicuramente gli incentivi statali e le diverse riforme in essere potrebbero stimolare i venture capitalist a investire nelle start up italiane, che seppur non tantissime, si differenziano per idee originali e una versatilità eccellente.
Analizzando più nel profondo i principali fondi italiani provenienti da venture capital, si possono identificare alcuni brand che stanno incidendo sia nelle start up digitali che in quelle che realizzano prodotti veri e propri informato fisico.
Esaminare i venture capital più importanti richiederebbe un articolo a parte, ma si possono evidenziare queste compagini: Innogest, P101, Pankès, Principia SGR, United Ventures, L-Venture e Barcamper Ventures. Come è facile immaginare, ognuna di queste offre idee differenti in base alla problematica da risolvere. Per esempio, Innogest punta sulle aziende e le start up che basano i loro progetti sulla tecnologia. Fino a questo momento hanno investito più di 60 milioni di euro in più di 30 progetti.
Anche P101 è tra i venture capitalist più importanti per quanto concerne il settore digitale. Investendo in questo caso più sulle idee originali che sull’aspetto puramente economico.
Investitori come L-Venture invece, puntano sulle start up nelle prime fasi di sviluppo. Dando modo a queste di iniziare un percorso di strutturazione che possa poi renderle efficaci sul mercato.
Venture capital: differenza con Private Equity
Come anticipato nei paragrafi precedenti, il termine venture capital in un contesto europeo è completamente diverso da quello USA. Attualmente quando si argomenta o ci si riferisce al VC si identifica una forma alternativa di Private Equity.
Da un punto di vista tecnico vengono considerati entrambi come delle forme di investimento verso capitali a rischio. L’obiettivo è quello di ricavarne dei profitti nel medio-lungo periodo, sfruttando l’exit tramite le quote o l’IPO.
Bisogna però effettuare delle precisazioni, poiché è importante non confondere i due termini quando li si applica concretamente. Il venture capital è opportuno considerarlo come un fattore di investimento che si occupa di un’area molto specifica, cioè l’investimento early stage. Con questo termine ci si riferisce all’insieme dei finanziamenti che sostengono le imprese ad alto rischio, ma che necessitano di capitali costanti per velocizzare la loro crescita.
Il private equity invece, è sempre una forma di investimento, ma che si presenta in uno stadio più avanzato e non è quotato in Borsa. Vi è quindi una sostanziale differenza di investimento. Il venture capital punta al potenziale della società, mentre il private equity si lega a un’azienda già matura, con cui poterne ricavare introiti sicuri. Ovviamente un fondo in venture capital è usualmente inferiore a quello di un private equity, ciò dovuto a un diverso stadio di avanzamento del progetto.
La scelta di una o dell’altra tipologia di investimento dipende da come l’investitore decide di approcciarsi al progetto, valutando anche i fondi a disposizione.
Conclusioni
Ogni start up ha bisogno di finanziamenti per poter realizzare i propri progetti, siano questi digitali oppure fisici. In tale contesto gli investimenti dei venture capitalist sono essenziali per accelerare le operazioni di sviluppo. Ma non sempre si hanno i requisiti per catturare l’attenzione dei migliori. Gli investitori istituzionali e quelli privati, anche in Italia, sono tanti. Bisogna solo porre le basi per indurli a scegliere la propria azienda per elargire venture capital.