Questa sentenza rappresenta quindi un importante punto di riferimento per la responsabilità datoriale.
Una nuova sentenza della Corte di Cassazione cambia profondamente il panorama del diritto del lavoro, stabilendo che il datore di lavoro è obbligato a risarcire i danni derivanti da un ambiente lavorativo stressante.
Questa decisione, contenuta nella sentenza n. 123 del 4 gennaio 2025, rappresenta un importante passo avanti nella tutela della salute psicofisica dei lavoratori.
Il riconoscimento dello stress lavorativo come danno risarcibile
La vicenda che ha portato alla pronuncia della Suprema Corte riguarda una avvocatessa impiegata presso l’Azienda Servizi Sociali di Bolzano, che ha denunciato condotte stressogene da parte del direttore generale dell’ente. La lavoratrice ha lamentato una serie di comportamenti pretestuosi e pressanti, che hanno causato un danno biologico riconosciuto dai giudici.
La Corte ha sottolineato che lo “straining” rappresenta una forma attenuata di mobbing, caratterizzata dall’assenza di una continuità nelle azioni vessatorie, ma comunque capace di produrre effetti dannosi sull’integrità psico-fisica del lavoratore.
Le singole azioni stressogene, anche se isolate, possono dunque giustificare una richiesta di risarcimento danni ai sensi dell’art. 2087 del Codice Civile, che impone al datore di lavoro di tutelare la salute e la dignità del dipendente.
L’estensione dell’obbligo di tutela del datore di lavoro
La sentenza ribadisce che l’articolo 2087 c.c. non si limita alla prevenzione degli infortuni sul lavoro in senso stretto, ma include anche l’obbligo di impedire che si verifichino situazioni che mettano a rischio la salute psicofisica del lavoratore. In particolare, il datore di lavoro deve astenersi da comportamenti lesivi e adottare tutte le misure necessarie per garantire un ambiente lavorativo sano.

Nel caso esaminato, la Corte ha evidenziato come la conflittualità interna all’ufficio avrebbe richiesto un intervento tempestivo da parte dell’amministrazione, anche attraverso l’utilizzo del potere disciplinare, al fine di ristabilire un clima di serenità indispensabile per lo svolgimento corretto delle prestazioni lavorative.
Il mancato intervento ha reso l’ente responsabile per straining, anche in assenza di una pluralità di atti vessatori, ma con effetti comunque dannosi per la lavoratrice.
La nozione di ambiente di lavoro e la sua tutela
Infine, la Corte ha ampliato la definizione di ambiente di lavoro, che non coincide esclusivamente con il luogo fisico dove si svolge l’attività lavorativa. L’ambiente di lavoro deve essere inteso in senso ampio, comprendendo tutto ciò che circonda il lavoratore e che può influire sulla sua salute e dignità.
Tale ambiente deve essere organizzato e gestito in modo da salvaguardare l’integrità psicofisica del lavoratore, in linea con i principi di correttezza e buona fede.