La responsabilità ricade dunque sui genitori, chiamati a guidare i propri figli nel complesso mondo digitale e a intervenire tempestivamente.
Corte d’Appello di Campobasso ha emesso una sentenza che segna un punto di svolta nella gestione dei contenuti offensivi pubblicati sui social da minori.
In un caso emblematico, la responsabilità legale per i danni arrecati da un video denigratorio pubblicato da un undicenne grava ora direttamente sui genitori, sottolineando come l’educazione digitale non sia più solo una questione di buon senso, ma un obbligo giuridico concreto.
Genitori responsabili per i contenuti offensivi pubblicati dai figli minori
L’episodio che ha portato alla decisione giudiziaria si è verificato in Molise, durante il trasporto scolastico: un ragazzo di undici anni ha caricato su YouTube un video nel quale filma un coetaneo, accompagnando il contenuto con la didascalia offensiva “bambino handicappato”.
I genitori della vittima hanno quindi intrapreso un’azione legale chiedendo un risarcimento sia per danni patrimoniali sia per danni non patrimoniali. La Corte ha confermato in appello, con sentenza depositata il 25 agosto 2025, la responsabilità civile dei genitori dell’autore del video.
L’elemento determinante è che la Polizia Postale ha verificato che l’account YouTube era effettivamente gestito dal minore, mentre la difesa dei genitori si è limitata a minimizzare i fatti senza smentirli né procedere a una contestazione tempestiva. Tale atteggiamento ha rafforzato la presunzione di responsabilità a loro carico.
La base giuridica: culpa in educando e in vigilando
La sentenza si fonda sull’articolo 2048 del codice civile, che sancisce la responsabilità dei genitori per i danni causati dai figli minorenni. In particolare, si richiama la dottrina della culpa in educando e in vigilando, ovvero l’obbligo di educare e vigilare sui comportamenti dei figli.

Per superare tale presunzione di colpa, i genitori devono dimostrare di aver impartito regole chiare, fornito adeguate istruzioni sui rischi e attuato controlli concreti.
La Corte ha evidenziato che consegnare uno smartphone a un minore comporta un dovere specifico: spiegare cosa significhi condividere immagini e commenti sul web, quali possono esserne le conseguenze anche a seguito di un singolo clic, e stabilire limiti o restrizioni effettive sull’uso del dispositivo.
Nel caso analizzato, non sono emerse prove sufficienti di misure preventive efficaci o regolamentazioni specifiche sull’utilizzo del telefono.
Il peso economico e morale delle offese online
Dal punto di vista economico, la sentenza ha ridimensionato il danno patrimoniale a 1.305,81 euro, corrispondente alle spese documentate per il sostegno psicologico della vittima.
Tuttavia, ha confermato un risarcimento per danno non patrimoniale pari a 7.950,02 euro, basato sull’accertamento di un disturbo post-traumatico tramite consulenza tecnica.
Un aspetto cruciale sottolineato dai giudici è che la vulnerabilità preesistente della vittima non attenua, ma rafforza la responsabilità di chi commette l’offesa. Questo significa che, se la persona colpita è particolarmente fragile, l’impatto emotivo e psicologico delle parole o dei contenuti denigratori è maggiore, e il diritto interviene con una tutela più incisiva.
L’educazione digitale diventa così un dovere imprescindibile per ogni genitore, nonostante la crescente autonomia dei minori nell’era dei social. La diffusione di smartphone e piattaforme online non solleva gli adulti dai loro obblighi di controllo e formazione.
La sentenza ribadisce che, senza un’effettiva azione educativa e di vigilanza, un semplice video offensivo può trasformarsi in una pesante condanna economica e in un grave danno per la vittima.