Sentenza shock sulla pensione di invalidità: finiscono le discriminazioni, ecco cosa cambia davvero

Una sentenza di grande impatto segna una svolta significativa per il trattamento economico dei titolari dell’assegno ordinario di invalidità.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 94/2025, ha dichiarato incostituzionale l’esclusione dei percettori dell’assegno contributivo puro dal diritto all’integrazione al trattamento minimo. Questa decisione rappresenta un passo avanti nella tutela dei diritti dei lavoratori con disabilità, superando un limite normativo introdotto dalla riforma Dini del 1995.

Prima di questa sentenza, l’integrazione al minimo, che garantisce un livello minimo di pensione per assicurare dignità economica, era riconosciuta esclusivamente a chi aveva maturato contributi previdenziali prima del 1996, rientrando quindi nel regime retributivo o nel sistema misto. L’articolo 1, comma 16 della legge 335/1995 sanciva chiaramente questa esclusione per i trattamenti pensionistici interamente contributivi.

Il legislatore aveva motivato tale esclusione con la convinzione che nel regime contributivo puro la prestazione dovesse corrispondere esclusivamente ai contributi versati, senza possibilità di correzioni o incrementi legati al minimo vitale. Questo criterio, però, ha creato una disparità di trattamento per molti soggetti, in particolare per chi percepisce l’assegno ordinario di invalidità.

La pronuncia della Corte Costituzionale: una nuova prospettiva

La Corte Costituzionale, accogliendo un quesito sollevato dalla Corte di Cassazione, ha ribaltato questa impostazione. I giudici hanno affermato che l’esclusione dei titolari di assegno contributivo puro dall’integrazione al trattamento minimo è illegittima, poiché viola il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione.

La Corte ha evidenziato che l’assegno ordinario di invalidità non è assimilabile alla pensione di vecchiaia: mentre quest’ultima rappresenta il termine naturale del percorso lavorativo, l’assegno ha lo scopo di offrire un sostegno economico a chi, per motivi di salute, ha una ridotta capacità lavorativa, e spesso si trova in questa condizione prima di raggiungere l’età pensionabile prevista (attualmente 67 anni).

Persona anziana e invalidità
Persona anziana (Pixabay foto) – www.impresamia.com

Questa distinzione è cruciale, perché rende ingiustificata la disparità di trattamento tra percettori di assegno invalidità con regime retributivo o misto e quelli con regime contributivo puro. Escludere questi ultimi dall’integrazione al minimo significa penalizzare una categoria particolarmente vulnerabile, negando un diritto fondamentale alla sopravvivenza dignitosa.

Impatti pratici e decorrenza della sentenza

Nonostante la dichiarazione di incostituzionalità, la Corte ha stabilito che gli effetti della sentenza si applicheranno solo a partire dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, escludendo quindi il riconoscimento di arretrati per il passato. Questa scelta mira a tutelare la sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale e a evitare eccessivi oneri per la finanza pubblica.

Per i beneficiari dell’assegno ordinario di invalidità con regime contributivo puro, ciò significa che da ora in avanti, qualora il loro assegno risulti inferiore alla soglia minima annuale stabilita per legge e rivalutata secondo l’ISTAT, avranno diritto all’integrazione al trattamento minimo a carico dello Stato.

L’INPS ha già diffuso un comunicato ufficiale per informare gli interessati sulle modalità operative e le procedure per richiedere l’integrazione, sottolineando che la soglia minima varia ogni anno in base alla rivalutazione ISTAT e rappresenta un parametro essenziale per garantire l’efficacia della tutela assistenziale. Questa decisione apre dunque nuove opportunità per una platea di lavoratori invalidi che fino a oggi sono stati esclusi da una protezione economica fondamentale.

Un precedente destinato a influenzare il futuro del sistema previdenziale

La sentenza n. 94/2025 si inserisce in un quadro più ampio di interventi della Corte Costituzionale volti a rafforzare la tutela dei soggetti più deboli, anche a costo di rivedere consolidati meccanismi contributivi. Il principio che ogni prestazione sociale debba almeno garantire il soddisfacimento dei bisogni primari trova in questa pronuncia una conferma importante anche nell’ambito delle prestazioni d’invalidità.

Il giudizio della Consulta evidenzia come l’ordinamento previdenziale debba evolversi per assicurare equità tra lavoratori con contributi maturati in epoche diverse, salvaguardando i valori costituzionali di solidarietà e inclusione. L’attenzione verso i titolari di assegno ordinario di invalidità con regime contributivo puro potrebbe stimolare ulteriori riforme che riducano le disparità tra le diverse generazioni di contribuenti. Con questa sentenza si fa un passo avanti decisivo nel riconoscimento di un diritto fondamentale, ribadendo l’importanza di una protezione economica adeguata per chi, a causa di una ridotta capacità lavorativa, necessita di un sostegno concreto e immediato.

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