Dalla pensione pubblica al “welfare individuale”: cosa prevede la proposta in arrivo. Non è più necessario scegliere.
Siamo un un momento di trasformazione, anche nel mondo del lavoro. Lo conferma un nuova norma che però non parla di numeri, contributi o percentuali, ma mette in atto una vera e propria rivoluzione nel modo in cui ci prepariamo alla pensione. E il focus della questione risiede tutto in un principio tanto semplice quanto forte: il “silenzio-assenso”.
L’idea si comprende da sè: non sarà più necessario iscriversi attivamente a un fondo pensione integrativo. Al contrario, sarà l’adesione automatica a scattare per chi non si oppone espressamente. Un cambiamento che ribalta il sistema attuale e apre a nuovi scenari per chi lavora, ma anche per chi si avvicina all’età della pensione. Una proposta che, se approvata, potrebbe cambiare radicalmente il modo in cui ogni cittadino costruisce il proprio futuro economico.
Ma cosa significa davvero questa nuova norma? E quali sono le conseguenze pratiche per i lavoratori italiani? Vediamolo in modo semplice e chiaro.
Pensione integrativa per tutti, a meno che tu dica no
Attualmente, aderire a un fondo pensione complementare è una scelta volontaria. Serve firmare moduli, fare valutazioni e prendere un’iniziativa personale. Con la nuova proposta, che in questo momento si trova allo studio del Governo, invece, le cose cambierebbero: ogni lavoratore dipendente verrebbe automaticamente iscritto a un fondo pensione integrativo indicato dal datore di lavoro, salvo che non manifesti esplicitamente la volontà di rinunciare.

In pratica, se non fai nulla, vieni iscritto. Solo con un’azione concreta — una richiesta formale di esclusione — potrai evitare di contribuire al fondo. È il meccanismo del “silenzio-assenso”, già adottato in altri ambiti come la donazione di organi. Questa misura vuole aumentare il numero di persone che costruiscono una pensione aggiuntiva a quella pubblica, vista la crescente difficoltà del sistema statale a reggere l’impatto dell’invecchiamento della popolazione.
Il nostro sistema pensionistico pubblico si basa su un principio di solidarietà: i lavoratori attivi versano contributi che vengono usati per pagare le pensioni di chi è già in quiescenza. Tuttavia, con sempre meno giovani al lavoro e sempre più anziani in pensione, il meccanismo è già quasi al collasso. È per questo che lo Stato sta spostando gradualmente l’attenzione verso strumenti di previdenza privata, come i fondi integrativi, che ciascuno può costruire nel tempo.
Non si tratta solo di pensioni. La stessa logica si applica anche a un’altra questione delicatissima: la non autosufficienza. In futuro, chi non potrà più badare a sé stesso potrebbe dover contare non più su un welfare pubblico, ma su polizze assicurative personali. Oltre alla pensione integrativa, il Governo e il mondo assicurativo stanno lavorando a polizze specifiche contro il rischio di perdita dell’autonomia nella terza età. Come? Durante gli anni lavorativi si paga un piccolo premio annuale (qualche centinaio di euro), e in cambio, in caso di necessità futura, si riceve una rendita o servizi di assistenza.
Questo sistema, già attivo in alcuni Paesi europei, punta a sollevare le famiglie da costi elevati per badanti, case di riposo o cure domiciliari, difficili da sostenere senza aiuti pubblici. Anche qui, si parla di adesione incentivata e deduzioni fiscali, per rendere il tutto più accessibile. Vien da sé pensare che queste proposte rappresentano un cambiamento culturale prima ancora che economico: lo Stato si ritira parzialmente dal ruolo di garante unico del benessere in vecchiaia, chiedendo ai cittadini di essere più responsabili e previdenti.