La decisione della Corte Costituzionale sarà dunque un momento cruciale per il futuro delle pensioni in Italia.
La rivalutazione delle pensioni torna al centro del dibattito pubblico e istituzionale in Italia, con un’attenzione crescente nei confronti della decisione che la Corte Costituzionale dovrà adottare nelle prossime settimane.
La questione, che interessa milioni di pensionati, riguarda la legittimità del sistema di perequazione introdotto con le leggi di bilancio del 2023 e del 2024, un tema che potrebbe modificare profondamente gli equilibri del sistema previdenziale nazionale.
Il sistema a blocchi e le critiche al nuovo metodo di rivalutazione
Il fulcro della controversia è il passaggio dal tradizionale meccanismo di rivalutazione pensionistica basato su scaglioni di reddito a un modello definito “a blocchi”. In passato l’adeguamento delle pensioni all’inflazione veniva calcolato in maniera progressiva, con incrementi proporzionali alle diverse fasce di reddito, un sistema che tendeva a garantire maggiore equità.
Il modello a blocchi, invece, applica una percentuale unica di rivalutazione sull’intera pensione, senza distinzione di fasce, determinando un effetto regressivo. Questa modalità penalizza soprattutto le pensioni medio-alte, comprese quelle che si attestano intorno a quattro volte il trattamento minimo, ovvero circa 1.650 euro netti al mese, ampliando così la platea dei soggetti colpiti dai tagli.
Le nuove regole sono state introdotte dalla legge 197/2022 e confermate dalla legge 213/2023 con l’obiettivo dichiarato di contenere la spesa pubblica e di limitare gli adeguamenti sulle cosiddette “pensioni d’oro”. Tuttavia, la misura ha suscitato forti critiche sia a livello sociale che giuridico, proprio per il suo impatto su pensionati appartenenti al ceto medio.
Il ricorso del pensionato e il rinvio alla Corte Costituzionale
La vicenda è stata portata all’attenzione della magistratura da un pensionato che ha impugnato il nuovo sistema di rivalutazione, sostenendo che esso violi i principi fondamentali di proporzionalità e di equità tra contributi versati e assegno pensionistico percepito.
Il Tribunale di Trento, accogliendo le ragioni del ricorrente, ha sospeso il procedimento e ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale, definendo il tema “rilevante e non manifestamente infondato”.

Il nodo centrale della questione riguarda proprio la compatibilità del metodo a blocchi con i principi costituzionali di ragionevolezza e giustizia sociale. La Corte dovrà valutare se questa modalità di perequazione sia conforme all’impegno dello Stato nel garantire un trattamento pensionistico adeguato e proporzionato al contributo versato durante la vita lavorativa.
Implicazioni economiche e sindacali della rivalutazione pensioni
La perequazione automatica rappresenta uno strumento fondamentale per tutelare il potere d’acquisto dei pensionati, specialmente in un contesto di inflazione crescente. Il sistema precedente, fondato su scaglioni, aveva il pregio di offrire un adeguamento proporzionale e più equo, mentre il modello a blocchi ha contribuito a una perdita di valore reale delle pensioni medio-alte.
I principali sindacati, tra cui la CGIL, hanno accolto con favore il rinvio alla Consulta, sottolineando come la nuova normativa abbia causato un doppio danno: non solo economico, con perdite permanenti per milioni di pensionati, ma anche morale, poiché mette in discussione il patto sociale tra Stato e lavoratori.
L’eventuale dichiarazione di incostituzionalità delle leggi 2023-2024 potrebbe riportare l’Italia al sistema a scaglioni, con conseguenze significative anche sul piano finanziario, comprese possibili restituzioni di somme non corrisposte in passato. Questa prospettiva apre un dibattito più ampio sulla sostenibilità del sistema previdenziale e sull’equilibrio da mantenere tra rigore di bilancio e tutela sociale.