Pensione integrata, la nuova opportunità da richiedere: chi prende meno di 600 euro può riceverne molti di più

La possibilità di richiedere l’integrazione al trattamento minimo rappresenta un importante strumento di tutela sociale.

La pensione integrata al minimo rappresenta una preziosa opportunità per i pensionati italiani che percepiscono assegni mensili particolarmente bassi, inferiori a 603,40 euro.

Questa misura, prevista dalla normativa italiana e aggiornata per il 2025, mira a garantire un livello minimo di reddito che consenta una vita dignitosa, contrastando così il rischio di povertà tra gli anziani.

Cos’è e come funziona la pensione integrata al minimo

Introdotta con la legge n. 638 del 1983, l’integrazione al trattamento minimo INPS è un meccanismo che interviene qualora il calcolo contributivo di una pensione risulti inferiore a una soglia stabilita dallo Stato.

In questi casi, l’INPS eroga un’integrazione per portare l’importo mensile fino al minimo garantito. Per il 2025, tale soglia è stata fissata a 603,40 euro, con un’ulteriore maggiorazione del 22% concessa dal governo Meloni, che porta il minimo effettivo a 616,67 euro al mese per chi ha redditi particolarmente bassi.

Va sottolineato che non tutti i pensionati con assegni inferiori a questa cifra hanno diritto all’integrazione: il beneficio è infatti condizionato a precisi limiti di reddito personale e familiare, che devono essere rispettati sia al momento della richiesta sia negli anni successivi.

I limiti reddituali per accedere all’integrazione

Per poter beneficiare dell’integrazione al trattamento minimo, il pensionato deve rispettare i seguenti limiti di reddito:

I requisiti – impresamia.com
  • Pensionati singoli: reddito personale annuo non superiore a 7.844,20 euro.
  • Pensionati coniugati: reddito familiare annuo complessivo non superiore a 15.688,40 euro.

Un’eccezione riguarda coloro che percepiscono la pensione da prima di febbraio 1994: in questi casi, ai fini del calcolo dell’integrazione si considera esclusivamente il reddito personale, escludendo quello del coniuge.

Inoltre, nei casi di integrazione parziale, le soglie di reddito raddoppiano, salendo a 15.688,40 euro per i singoli e 31.376,80 euro per i coniugati. Superati questi limiti, la prestazione non è più erogata.

Chi è escluso dall’integrazione e altre precisazioni

Importante è ricordare che i pensionati il cui assegno è calcolato interamente con il sistema contributivo, ovvero chi è andato in pensione dal 1996 in poi, non ha diritto all’integrazione al trattamento minimo. La legge Dini ha infatti escluso questa categoria di beneficiari dalla possibilità di ricevere integrazioni o maggiorazioni.

Nel corso degli anni, la pensione integrata al minimo è stata oggetto di diversi dibattiti e proposte politiche volte a incrementarne l’importo. In passato, ad esempio, si è parlato di portare le pensioni minime a 1.000 euro, come accadde con la storica integrazione “al milione” di lire durante il governo Berlusconi.

Anche oggi, forze politiche come Forza Italia sostengono l’esigenza di aumentare le pensioni più basse, ma per il momento resta in vigore l’attuale sistema di integrazione previsto dalla legge del 1983 e aggiornato annualmente secondo il tasso di inflazione.

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