Il tema delle pensioni torna al centro del dibattito politico, in particolare per quanto riguarda l’adeguamento dell’età pensionabile.
Da gennaio 2027, infatti, scatterà un incremento di tre mesi nell’età richiesta per accedere alla pensione, portandola a 67 anni e 3 mesi. Tuttavia, il Governo sta valutando soluzioni che possano mitigare l’impatto di questa misura, con particolare attenzione alle categorie di lavoratori più vulnerabili.
Secondo le ultime indicazioni contenute nella bozza della legge di Bilancio, l’adeguamento dell’età pensionabile sarà graduale, con un aumento di un mese nel 2027 e di ulteriori due mesi nel 2028. Questa scelta rappresenta un compromesso politico che mira a contenere i costi, stimati in circa 3 miliardi di euro all’anno in caso di blocco totale della misura, e a rispondere alle richieste di gradualità avanzate da sindacati e alcune forze politiche.
Non tutti i lavoratori saranno coinvolti in questo aumento. Infatti, sono previste esenzioni parziali per chi svolge lavori gravosi o usuranti, riconosciuti come tali dalle leggi vigenti. Si tratta di categorie particolarmente esposte a rischi fisici e stress elevato, come i facchini, gli operai edili, i gruisti, gli infermieri e le ostetriche con turni, oltre agli operai agricoli e ai lavoratori marittimi, inseriti nella lista delle attività gravose con le modifiche della manovra 2018.
I lavori usuranti, disciplinati dal d.lgs. 67/2011, includono invece i lavoratori notturni e gli addetti alla catena di montaggio. Questi lavoratori continueranno a godere delle attuali regole pensionistiche senza subire l’aumento dell’età pensionabile almeno per il momento. Al contrario, per altre figure professionali impegnative, come i vigili urbani o i carpentieri, l’incremento scatterà regolarmente, anche se si valuta un possibile aggiornamento delle classificazioni per estendere le tutele.
Le ragioni e le difficoltà del Governo
L’adeguamento automatico dell’età pensionabile è previsto dalla legge Fornero e si basa sull’aumento della speranza di vita, che l’Istat ha certificato essere tornata a crescere negli ultimi anni, raggiungendo valori superiori a quelli pre-pandemici. Il meccanismo, introdotto con la legge 214/2011, serve a mantenere sostenibile il sistema previdenziale nel lungo periodo, evitando squilibri finanziari e garantendo trattamenti adeguati in relazione ai contributi versati.
Il Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha parlato di una “sterilizzazione selettiva” dello scatto, sottolineando la necessità di contemperare la sostenibilità finanziaria con la tutela di chi svolge attività particolarmente pesanti. La presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Lilia Cavallari, ha ricordato che bloccare l’aumento rischierebbe di creare uno “scalone” nel 2029, con un incremento cumulato più consistente e difficilmente sostenibile.
Il Governo si trova quindi a dover bilanciare esigenze contrastanti: da un lato la necessità di rispettare i vincoli di finanza pubblica imposti da Bruxelles, dall’altro le pressioni politiche e sociali per evitare un aggravio immediato su lavoratori già penalizzati da mansioni faticose o rischiose. Le opposizioni e i sindacati, come la CGIL guidata da Maurizio Landini, hanno criticato la gestione della riforma, accusando l’esecutivo di peggiorare le condizioni pensionistiche anziché migliorarle.

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Al momento, il ministero dell’Economia e del Lavoro sta valutando diverse ipotesi per modulare l’incremento dell’età pensionabile:
- Deroga per chi ha già compiuto 64 anni al momento dell’entrata in vigore della norma, escludendo questa fascia dallo scatto dei tre mesi.
- Incremento distribuito su più anni: un mese nel 2026, due nel 2027 e tre nel 2028, per alleggerire il peso immediato sui lavoratori e sui conti pubblici.
- Sterilizzazione limitata a specifiche categorie di lavoratori, mantenendo per la generalità il meccanismo automatico previsto dalla legge.
Parallelamente, il Ministro Giorgetti ha rilanciato la necessità di potenziare la previdenza complementare, vista come uno strumento fondamentale per compensare il cosiddetto “pension gap” e offrire una copertura più equilibrata, soprattutto a chi ha carriere discontinue. Attualmente, la Covip registra che solo un terzo dei lavoratori italiani aderisce a forme di previdenza integrativa, un dato ancora lontano dalle medie europee.
Il confronto politico e sindacale rimane acceso, con la necessità di trovare un equilibrio tra sostenibilità economica, equità sociale e tutela della salute fisica e mentale dei lavoratori, in vista dell’entrata in vigore delle nuove regole pensionistiche.