L’INPS provvede a erogare automaticamente l’integrazione nel cedolino di novembre, rappresentando un modello di welfare territoriale.
Con l’entrata in vigore del nuovo protocollo d’intesa, da novembre l’assegno minimo di pensione raggiunge finalmente la soglia di 1.000 euro netti al mese per i pensionati residenti nella provincia che soddisfano determinati requisiti.
Tuttavia, per la maggior parte degli italiani, raggiungere questa cifra resta una sfida complessa, che richiede il rispetto di precisi parametri legati agli anni di contributi versati, all’età di pensionamento e al sistema di calcolo utilizzato.
La realtà delle pensioni in Italia: una soglia ancora lontana
Secondo i più recenti dati INPS, oltre il 53% delle pensioni erogate in Italia non supera i 1.000 euro mensili netti. Nonostante le numerose promesse politiche volte a innalzare le pensioni minime a questa cifra, gli incrementi reali sono stati finora modesti: tra il 2024 e il 2025 l’aumento ha sfiorato appena i 2 euro al mese, portando l’importo minimo a circa 616,67 euro.
Questo divario tra le aspettative e la realtà è dovuto a vincoli di bilancio e all’adozione di criteri stringenti per il calcolo della pensione, che variano in base al sistema adottato: contributivo, retributivo o misto.
Pensione netta da 1.000 euro: cosa significa in termini di lordo e contributi?
Per garantire una pensione netta mensile di 1.000 euro, è necessario ottenere un importo lordo annuo di circa 14.900 euro, calcolando una tassazione media del 23%, detrazioni fiscali e addizionali regionali.
Sistema contributivo: il caso più sfidante
Nel sistema contributivo, in vigore per chi ha versato tutti i contributi dopo il 1° gennaio 1996 o per chi ha optato per il calcolo contributivo (ad esempio con Opzione Dini, Quota 103 o Opzione Donna), l’importo della pensione si basa sul montante contributivo accumulato durante la carriera lavorativa, rivalutato annualmente.
Le regole di calcolo ufficializzate nel 2025 prevedono un tasso di rivalutazione del 3,662% e coefficienti di trasformazione che aumentano con l’età di pensionamento, incentivando il differimento dell’uscita dal lavoro.
Per esempio, chi va in pensione a 67 anni deve aver accumulato un montante contributivo rivalutato di circa 265.700 euro per ottenere un assegno lordo di 14.900 euro annui.

Questo si traduce in una media di guadagni annui contributivi di circa 38.890 euro nel caso di 20 anni di lavoro, circa 26.000 euro per 30 anni, e poco meno di 19.500 euro per 40 anni di carriera.
Sistema misto: una strada più accessibile
Con il sistema misto, che combina il calcolo retributivo per i contributi versati fino al 1995 e quello contributivo per gli anni successivi, raggiungere i 1.000 euro netti è più semplice, soprattutto se la parte retributiva è significativa.
Ad esempio, con almeno 10 anni di contributi retributivi, si può ottenere circa il 20% della media delle ultime retribuzioni annue (2% per anno), che con uno stipendio medio di 30.000 euro garantisce già 6.000 euro di pensione annua. Il resto dell’importo necessario andrà coperto dalla quota contributiva.
L’integrazione provinciale che fa la differenza a Bolzano
La novità più rilevante riguarda la provincia di Bolzano, dove è stato istituito un meccanismo di integrazione economica volto a colmare la differenza tra la pensione effettivamente percepita e la soglia di 1.000 euro mensili.
Il fondo, interamente finanziato con risorse provinciali, è destinato a pensionati con un ISEE non superiore a 20.000 euro, residenza stabile nella provincia e almeno 65 anni di età. L’integrazione riguarda tutte le tipologie di pensione, inclusi assegni di vecchiaia, anticipati, di invalidità, sociali e superstiti, senza incidere sulla tredicesima mensilità.
Per usufruire dell’aumento è sufficiente presentare annualmente la dichiarazione ISEE aggiornata entro il 30 settembre.