Il tema è da sempre divisivo, e ogni volta che riaffiora scatena dibattiti accesi. Ma stavolta a riportarlo al centro dell’agenda sono sette premi Nobel per l’economia, nomi che contano e che raramente firmano un appello congiunto. La proposta è chiara: introdurre una patrimoniale minima globale per i patrimoni superiori ai 100 milioni. Non si parla di rivoluzioni fiscali radicali, ma di un contributo minimo, eppure significativo, da parte di chi detiene le ricchezze maggiori. Una tassa dello 0,5% o 2% all’anno, secondo le ipotesi circolate, che andrebbe a colpire una fetta minuscola della popolazione ma con un impatto enorme sul piano della redistribuzione.
I miliardari pagano lo 0,6%: ecco perché secondo i Nobel non è più sostenibile
Tra i firmatari dell’appello ci sono nomi come Joseph Stiglitz, Paul Krugman, Esther Duflo, George Akerlof e Daron Acemoglu, economisti che hanno studiato le crisi degli ultimi decenni e che ora lanciano un segnale netto: il sistema fiscale globale, così com’è, favorisce i super-ricchi. Secondo i dati riportati, l’aliquota effettiva pagata da chi possiede patrimoni miliardari si aggira tra lo 0% e lo 0,6%, ben al di sotto di quella che pesa sul reddito dei lavoratori medi. Il meccanismo? Holding familiari, trust, società schermate: strumenti perfettamente legali che permettono di spostare ricchezza e aggirare, spesso senza violare, le imposte sui redditi da capitale.

Per i Nobel si tratta di una scelta politica, non di un vincolo tecnico. Gli strumenti per riformare il sistema ci sono, ma manca la volontà. L’obiettivo della proposta è quello di ripristinare un minimo di equità, garantendo che anche i patrimoni più grandi contribuiscano al funzionamento dei servizi pubblici. In Francia, ad esempio, una patrimoniale simile colpirebbe poco meno di 2.000 famiglie, mentre oltre 10 milioni di cittadini vivono con redditi sotto la soglia di povertà.
L’Italia tra evasione e capitali all’estero: Zucman denuncia 159 miliardi spariti
La proposta è sostenuta anche da Gabriel Zucman, direttore dell’Osservatorio fiscale dell’Unione Europea, che ha firmato diverse ricerche sul tema dell’evasione. Secondo i dati del suo ultimo rapporto globale, tra il 2016 e il 2022, dall’Italia sono stati trasferiti illegalmente all’estero oltre 159 miliardi di euro, una somma equivalente all’intero Pnrr. Soldi che, se fossero stati tassati, avrebbero potuto coprire gran parte della spesa pubblica in sanità, scuola e trasporti.
L’idea di una patrimoniale progressiva per lo 0,1% più ricco della popolazione italiana trova quindi sempre più sostenitori anche tra gli economisti locali. Non si parla di un’imposta punitiva, ma di un modo per riequilibrare un sistema che oggi — numeri alla mano — scarica il peso fiscale sulla classe media, mentre i grandi patrimoni restano quasi intatti. I proventi raccolti da una misura simile potrebbero sostenere politiche di welfare, ridurre la pressione fiscale sui redditi da lavoro e aiutare a contenere le disuguaglianze crescenti.
Il tema resta delicato, ma il messaggio è chiaro: chi ha di più, può e deve contribuire di più. Non per ideologia, ma per sostenere un sistema che, altrimenti, rischia di rompersi.