Quasi nessuno sa che, in questo specifico caso, il datore di lavoro deve risarcire il proprio dipendente: la sentenza
Le lunghe ore di lavoro, senza interruzioni regolari, possono compromettere gravemente il benessere psicofisico dei dipendenti. Un recente intervento della Corte di Cassazione ha ribadito che la violazione reiterata dei tempi di pausa durante il turno può generare danni da usura psicofisica, riconoscibili anche in assenza di prove mediche dirette.
Un tema che tocca da vicino moltissimi lavoratori, soprattutto coloro che svolgono turni pesanti, come gli operatori del 118 o i lavoratori in ambito sanitario, ma anche in altri settori professionali.
Il sistema normativo italiano, in linea con le direttive europee, stabilisce con chiarezza che ogni lavoratore ha diritto a una pausa quando il suo orario di lavoro supera le 6 ore continuative. L’articolo 8 del Decreto Legislativo 66/2003 è il caposaldo della regolamentazione, stabilendo che ogni lavoratore ha diritto a una pausa di almeno 10 minuti consecutivi.
Le modalità per la fruizione della pausa, come la sua durata e le modalità, sono disciplinate dai contratti collettivi di lavoro o dai regolamenti aziendali. Qualora tali disposizioni non siano presenti, l’azienda deve comunque garantire la pausa minima di 10 minuti. Il lavoratore è libero di scegliere come impiegare questo intervallo, che può essere utilizzato per un caffè, una passeggiata, un pasto o anche una sigaretta, sempre che siano rispettate le normative locali sul fumo.
La sentenza della Cassazione
La Cassazione, in numerosi interventi, ha sottolineato che il diritto alla pausa non è negoziabile. In particolare, l’ordinanza n. 12504 del 2025 ha ribadito che i datori di lavoro non possono negare o limitare questo intervallo. Le uniche eccezioni sono previste quando le pause superano il limite di tempo stabilito dal contratto o dai regolamenti aziendali, o, in mancanza di tali disposizioni, quando si va oltre i 10 minuti.

Anche in presenza di politiche aziendali che vietano il fumo all’interno degli spazi di lavoro, è comunque previsto che i dipendenti possano allontanarsi per fumare, a patto che questo avvenga in tempi non eccessivamente lunghi. È importante, inoltre, sottolineare che alcune categorie di lavoratori, come telelavoratori o dirigenti, non sono soggetti alle stesse normative sulle pause, in quanto non hanno un orario fisso.
La Corte di Cassazione ha recentemente espresso un principio di grande rilevanza in materia di salute sul lavoro. Con l’ordinanza n. 20249 del 2025, la Suprema Corte ha confermato che la violazione sistematica delle pause può comportare un danno psicofisico, anche se non esistono prove dirette. Questo principio si basa sul riconoscimento che l’usura psicofisica non sempre necessita di evidenze mediche dirette per essere valutata, ma può essere presunta in base alle circostanze e alle evidenze indirette.
Il caso specifico riguarda alcuni dipendenti dell’Azienda Regionale Emergenza Sanitaria Ares 118, che avevano impugnato una sentenza del Tribunale di Velletri, chiedendo il risarcimento per i danni subiti a causa della mancata fruizione delle pause. La Corte di Appello di Roma ha accolto la loro richiesta, riconoscendo che la reiterata violazione dei tempi di pausa aveva compromesso la loro salute psicofisica.
La gravità della violazione e il suo impatto sulle condizioni lavorative possono essere sufficiente per giustificare il risarcimento, anche senza prove mediche specifiche. Nel caso specifico, la Corte ha valutato che la mancata concessione delle pause, protrattasi per anni, fosse sufficiente a far presumere un danno significativo alla salute dei lavoratori, senza bisogno di una diagnosi medica formale.