Aumenta la cedolare secca per tutti questi affitti: quanto pagheranno ora i proprietari di casa

Il settore ha un ruolo rilevante nell’economia locale e nella valorizzazione del patrimonio immobiliare urbano.

Una novità significativa riguarda la cedolare secca sugli affitti brevi introdotta con la legge di Bilancio 2026, recentemente approvata dal Consiglio dei ministri.

Tale imposta, che in passato prevedeva un’aliquota ridotta del 21% per il primo immobile e del 26% per le successive unità, è stata uniformata al 26% per tutti gli immobili destinati a locazioni di breve durata, ovvero per periodi non superiori ai 30 giorni.

Questa modifica fiscale avrà ripercussioni su centinaia di migliaia di proprietari italiani, in un contesto in cui il patrimonio immobiliare adibito a questo tipo di affitti continua a crescere.

L’incremento della tassazione sugli affitti brevi e le ragioni del governo

L’aumento della cedolare secca al 26% per tutti gli immobili adibiti ad affitti brevi si inserisce nel più ampio piano di risanamento fiscale e rilancio economico previsto dalla legge di Bilancio da 18,7 miliardi di euro per il 2026. Il governo guidato da Giorgia Meloni ha voluto così intervenire su un settore ritenuto strategico ma anche suscettibile di distorsioni.

Fino al 2024, la cedolare secca agevolata al 21% aveva incentivato un consistente aumento delle locazioni turistiche di breve durata, con quasi 700.000 immobili coinvolti, di cui circa 500.000 visibili sulle piattaforme digitali.

Tuttavia, questa aliquota più bassa rispetto alla prima fascia IRPEF (23%) e all’imposta sui redditi finanziari (26%) è stata criticata perché ritenuta un incentivo eccessivo alla rendita immobiliare, a discapito del mercato delle locazioni a lungo termine.

Impatto sugli immobili e sul mercato delle seconde case

Il settore degli affitti brevi ha contribuito in modo importante allo sviluppo del turismo in Italia, offrendo un’alternativa più accessibile rispetto agli hotel tradizionali e contribuendo a valorizzare immobili spesso trascurati.

Tuttavia, la crescita delle locazioni di breve durata non ha ridotto il fenomeno delle seconde case sfitte, che in Italia ammontano ancora a circa 9,6 milioni di unità. Solo una parte minima di queste viene destinata agli affitti brevi, nonostante l’aliquota agevolata al 21% sulle locazioni a lungo termine.

Il vero nodo riguarda la scarsa tutela legale dei proprietari nei confronti degli inquilini morosi e le lungaggini burocratiche che rendono difficoltoso e costoso lo sfratto.

La tassazione reale – impresamia.com

Anche se recentemente sono state introdotte norme più efficaci per accelerare gli sgomberi e rafforzare le garanzie per i locatori, la paura di perdere tempo e denaro spinge molti proprietari a lasciare sfitte le loro seconde case.

Tassazione reale e costi nascosti per i proprietari

La cedolare secca, pur essendo una tassazione agevolata rispetto all’IRPEF ordinaria, colpisce i ricavi lordi degli affitti brevi, senza possibilità di dedurre i costi effettivi sostenuti, come pulizie, cambio biancheria o servizi di accoglienza. Inoltre, le commissioni trattenute dalle piattaforme digitali, come Airbnb e Booking.com, spesso superano il 15-20% del canone percepito.

Di conseguenza, il margine netto per i proprietari si riduce drasticamente, spesso scendendo sotto il 50% del ricavo lordo. Per far fronte a queste spese, molti locatori hanno iniziato a fatturare separatamente alcune voci di costo, come l’energia elettrica, per evitare perdite economiche.

Il mercato degli affitti brevi nel 2024 ha generato un giro d’affari stimato di 66 miliardi di euro, pari al 3% del Pil nazionale. Di questi, 13 miliardi derivano direttamente dalle prenotazioni, 52 dall’indotto e 1 miliardo dalle ristrutturazioni immobiliari.

Secondo i dati più recenti, nelle grandi città come Milano le seconde case restano numerose e spesso inutilizzate, confermando come l’aumento della cedolare secca sugli affitti brevi non sia la causa principale dello sfitto prolungato.

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