La crescente attenzione politica verso il riconoscimento degli animali come parte della famiglia riflette un cambiamento culturale.
Una significativa novità si profila all’orizzonte per i lavoratori italiani che convivono con animali domestici: è in arrivo un disegno di legge che introduce permessi retribuiti in caso di malattia o morte del proprio animale d’affezione, riconoscendo ufficialmente il valore affettivo e sociale di cani e gatti nelle famiglie italiane.
Il deputato Devis Dori di Alleanza Verdi e Sinistra ha presentato un disegno di legge che amplia i congedi retribuiti già previsti dalla legge n. 53 del 2000.
Permessi retribuiti per animali domestici: cosa prevede la nuova proposta
La proposta introduce tre giorni di permesso retribuito in caso di decesso del proprio animale domestico, limitatamente a cani e gatti, e otto ore di permesso all’anno per assistere l’animale in caso di malattia.
Questa iniziativa rappresenta una svolta nel rapporto tra lavoro e affetti non umani, riconoscendo che la perdita o la malattia di un animale domestico possono avere impatti psicologici profondi, paragonabili a quelli derivanti dalla perdita di un familiare.
Le motivazioni del ddl sottolineano come costringere un lavoratore a svolgere attività delicate o pericolose mentre vive un lutto o è preoccupato per la salute del proprio animale può compromettere la sicurezza sul lavoro e la produttività.
Un legame affettivo e sociale confermato dai dati e dalla scienza
Non si tratta di una misura simbolica: secondo un’indagine Ipsos del 2024, più della metà delle famiglie italiane (56%) possiede almeno un cane o un gatto. Questo dato evidenzia come gli animali d’affezione siano ormai parte integrante della vita di milioni di persone, non solo come compagnia ma anche come elementi fondamentali per il benessere emotivo.
La letteratura scientifica conferma la profondità di questo legame: il lutto per un animale domestico può durare da sei a dodici mesi, con effetti psicologici importanti. Ignorare questa sofferenza equivarrebbe a sottovalutare un reale disagio che può influire negativamente sull’umore, sulle relazioni sociali e sulla performance lavorativa. Il disegno di legge si propone quindi di tutelare una dimensione affettiva finora trascurata, promuovendo una società più empatica e inclusiva.
Perché solo cani e gatti? Questioni di tracciabilità e legalità
Il ddl fa riferimento agli “animali d’affezione” ma limita i permessi a cani e gatti. La scelta non è casuale: questi animali sono gli unici che, per legge, devono essere registrati tramite microchip all’Anagrafe degli animali da compagnia. Questa registrazione garantisce la verificabilità del rapporto di proprietà e convivenza, indispensabile per evitare abusi o difficoltà di controllo da parte di datori di lavoro e istituzioni come l’INPS.

Altri animali domestici, come conigli, criceti o pappagalli, non rientrano per ora nella normativa proprio perché manca un sistema di tracciamento equivalente. Tuttavia, il legislatore non esclude una futura estensione del beneficio ad altre specie, soprattutto se verranno implementate forme di registrazione ufficiale.
Un tema trasversale che unisce sensibilità politiche diverse
Sebbene la proposta provenga dal centrosinistra, è probabile che ottenga il consenso anche tra alcune forze di centrodestra, dove da tempo emergono posizioni sensibili verso i diritti degli animali. Un esempio è Michela Vittoria Brambilla, leader di Noi Moderati e fondatrice della Lega Italiana Difesa Animali e Ambiente, promotrice di norme più severe contro i maltrattamenti animali approvate nel 2025.
Riconoscere i permessi retribuiti per assistere o elaborare il lutto per un animale domestico significa, più in generale, umanizzare la società, mettendo al centro la dimensione emotiva e affettiva delle persone.