Chi sarà costretto a tornare al lavoro? Ci sono pessime notizie per questi lavoratori che speravano di andare in pensione quest’anno.
Il tema delle pensioni in Italia resta al centro del dibattito pubblico, non tanto per le regole sull’età di uscita dal lavoro, quanto per l’adeguatezza degli importi degli assegni pensionistici.
Le modifiche normative introdotte con la riforma Dini del 1995-1996 e successivamente confermate dalla riforma Fornero hanno portato all’adozione di un sistema di calcolo contributivo che, nel lungo termine, rischia di consegnare pensioni sempre più basse, mettendo a dura prova la sostenibilità economica di molti pensionati.
Il problema degli importi pensionistici e le conseguenze sociali
Secondo l’ultimo rapporto dell’Inps, l’importo medio mensile lordo delle pensioni in Italia si attesta a circa 1.229 euro. Esiste una marcata differenza di genere: gli uomini percepiscono mediamente 1.486 euro, mentre le donne si fermano poco sopra i 1.000 euro (1.011 euro). Questi dati, calcolati sui singoli trattamenti pensionistici senza considerare eventuali cumuli, mostrano un quadro preoccupante dell’effettiva capacità di acquisto dei pensionati italiani.
Con il progressivo passaggio integrale al sistema contributivo, che valuta esclusivamente i contributi versati durante la carriera lavorativa, la situazione rischia di aggravarsi. In un mercato del lavoro caratterizzato da salari bassi, precarietà e lavoro sommerso, molti pensionati potrebbero vedersi riconoscere assegni inferiori a 1.000 euro al mese. A peggiorare il quadro, per chi ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995, non è neppure prevista l’integrazione al trattamento minimo, aumentando il pericolo di povertà tra gli anziani.
Le proiezioni Istat confermano questa tendenza negativa: entro il 2050 il numero dei pensionati supererà i 20 milioni, mentre gli occupati saranno poco più di 26 milioni. Questo rapporto squilibrato mette a rischio la sostenibilità di un sistema previdenziale a ripartizione, basato sui contributi dei lavoratori attivi. Di fronte a pensioni insufficienti per garantire un minimo di dignità economica, molti pensionati potrebbero essere costretti a tornare nel mercato del lavoro per integrare il proprio reddito.
La normativa vigente consente infatti la cumulabilità dei redditi da pensione con quelli da lavoro, fatta eccezione per alcune misure temporanee come Quota 103. Inoltre, i contributi versati durante questa seconda fase lavorativa possono incrementare ulteriormente l’assegno pensionistico futuro. Questa realtà, tuttavia, rappresenta un paradosso sociale: dopo una vita di sacrifici e contributi, molti anziani non potranno godersi una vera pensione e saranno obbligati a rimanere attivi.

Tale fenomeno rischia di comprimere ulteriormente i salari e di ostacolare il ricambio generazionale, penalizzando soprattutto i giovani in cerca di occupazione. Nonostante le criticità evidenziate, in Italia la possibilità di intervenire sul sistema pensionistico è limitata dalle risorse finanziarie a disposizione. Negli ultimi vent’anni, le riforme si sono concentrate principalmente sull’innalzamento dell’età pensionabile, trascurando l’adeguatezza economica degli assegni.
L’ex premier Mario Draghi aveva più volte ribadito che “dal sistema contributivo non si torna indietro”, chiudendo la porta a un ripensamento di fondo. La Commissione Europea stessa ha messo in guardia: senza interventi correttivi, il sistema contributivo rischia di produrre pensioni troppo basse per garantire una vecchiaia dignitosa. In questo contesto, l’unica via alternativa potrebbe essere rappresentata dalla diffusione della previdenza complementare, ma oggi solo un terzo dei lavoratori italiani vi aderisce.
Chi avrebbe maggior bisogno di integrazione pensionistica spesso non ha la possibilità di accedervi, a causa di redditi insufficienti o di una carriera lavorativa frammentata. L’insieme di questi fattori suggerisce che il sistema pensionistico italiano si trova a un bivio: senza interventi mirati, milioni di pensionati rischiano di dover rinunciare alla propria pensione come momento di riposo per tornare a lavorare e garantire la sopravvivenza economica. Un fenomeno che rappresenta un campanello d’allarme per il welfare nazionale e per la tenuta sociale del Paese.