Buone notizie per chi andrà in pensione nel 2026: il valore dei contributi accumulati fino al 31 dicembre 2024 subirà un incremento.
del 4,04%, una rivalutazione significativa che rappresenta uno dei tassi più alti degli ultimi vent’anni. Questo aumento, calcolato dall’Istat sulla base della crescita media del PIL nazionale, impatterà positivamente sull’importo futuro dell’assegno previdenziale, soprattutto per i lavoratori che rientrano nel sistema contributivo puro, cioè coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996.
Il montante contributivo è la somma di tutti i contributi versati dal lavoratore durante la sua carriera professionale, inclusi sia i periodi da dipendente sia quelli da lavoratore autonomo.
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Ogni anno, questa somma viene rivalutata non in base all’inflazione, come avviene per le pensioni già in pagamento, bensì in relazione alla crescita media del PIL degli ultimi cinque anni.

Per il 2026, l’Istat ha fissato il tasso di rivalutazione al 4,04%, un valore che non si registrava dal 2006, quando il tasso raggiunse il 4,05%. Negli anni successivi, questo coefficiente era rimasto più contenuto, in parte a causa della crisi economica prolungata e del forte calo del PIL durante la pandemia da Covid-19: ad esempio, nel 2020 la rivalutazione fu addirittura pari a zero, mentre nel 2021 si attestò allo 0,9%.
Questo tasso di rivalutazione particolarmente elevato rappresenta dunque un segnale positivo legato al recente rimbalzo economico dell’Italia, che avrà un effetto diretto sul valore dei contributi previdenziali e, di conseguenza, sulle pensioni future.
L’incremento del montante contributivo viene calcolato moltiplicando il totale dei contributi versati per il coefficiente 1,040445. Per esempio, un lavoratore che al 31 dicembre 2024 aveva accumulato 100.000 euro di contributi vedrà il proprio montante salire a 104.044,50 euro.
Questo aumento risulta particolarmente rilevante per chi ha una pensione calcolata interamente con il sistema contributivo, cioè per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996. Coloro che invece percepiscono una pensione mista, che combina la quota retributiva con quella contributiva, beneficeranno comunque della rivalutazione ma in misura più contenuta, in quanto la parte di pensione calcolata con il metodo retributivo non è interessata da questo meccanismo.
La rivalutazione del montante ha un effetto cumulativo, dunque un aumento annuo anche modesto può tradursi in un incremento consistente dell’importo finale percepito al momento del pensionamento.
L’aumento del 4,04% è strettamente legato alla ripresa del PIL italiano dopo la crisi pandemica, un dato che riflette il miglioramento complessivo dell’economia nazionale. Questo elemento non solo contribuisce a rafforzare la sostenibilità del sistema pensionistico, ma rappresenta anche una risposta concreta alle esigenze dei lavoratori, che da anni hanno dovuto affrontare rivalutazioni molto contenute o addirittura nulle.
L’incremento è inoltre un segnale di attenzione verso chi ha intrapreso la carriera lavorativa dopo il 1996, un sistema contributivo che, seppur più equo e trasparente, risente maggiormente delle oscillazioni economiche e della crescita del PIL.
Gli esperti sottolineano che, nonostante questo aumento, la sostenibilità e la solidità del sistema pensionistico italiano richiederanno ulteriori interventi e misure, soprattutto per garantire adeguati livelli di reddito ai futuri pensionati in un contesto di sfide demografiche e di mercato del lavoro in continua evoluzione.
L’attenzione resta alta anche per le prossime rivalutazioni, che dipenderanno dall’andamento del PIL e dalle politiche economiche nazionali e internazionali, fattori che influenzeranno direttamente il reddito pensionistico di milioni di lavoratori italiani.