Pignoramento stipendio: c’è un limite! La guida per non farsi portare via più del dovuto

Il tema del pignoramento dello stipendio continua a suscitare grande attenzione, soprattutto in un contesto economico di difficoltà.

Aggiornamenti normativi e giurisprudenziali chiariscono quali sono le soglie di tutela previste per i lavoratori in caso di espropriazione forzata e come difendersi da eventuali abusi.

L’articolo 545 del Codice di Procedura Civile (c.p.c.) rappresenta la normativa di riferimento fondamentale per comprendere le garanzie che tutelano il correntista debitore. Al momento della notifica dell’atto di pignoramento alla banca, infatti, le somme accreditate sul conto corrente relative a stipendi, salari o altre indennità lavorative sono generalmente protette per garantire il cosiddetto “minimo vitale”.

Nel dettaglio, le giacenze presenti sul conto prima della notifica del pignoramento possono essere aggredite solo per la parte eccedente il triplo dell’assegno sociale. Per il 2025, l’assegno sociale ammonta a 548,69 euro, per cui il limite di impignorabilità si fissa a 1.616,97 euro. Ciò significa che una somma fino a tale importo rimane automaticamente indisponibile per l’esecuzione forzata, a tutela della sopravvivenza del debitore e del suo nucleo familiare.

Questa franchigia opera d’ufficio: la banca, in qualità di soggetto terzo pignorato, è obbligata ad applicarla senza necessità di alcuna istanza o opposizione da parte del debitore. In sostanza, almeno una parte della giacenza sul conto sarà sempre lasciata al correntista, mentre il creditore potrà pignorare l’eccedenza, soprattutto in presenza di ingenti depositi.

Diversa è la situazione per gli accrediti successivi alla notifica dell’atto di pignoramento: in questo caso non si applica più il limite del triplo dell’assegno sociale, bensì i criteri ordinari di pignorabilità. La legge prevede infatti che:

  • Per i crediti di natura ordinaria, non alimentari o tributari, è pignorabile al massimo un quinto (1/5) dello stipendio netto, cioè dopo le trattenute fiscali e previdenziali. La banca deve quindi bloccare solo una quota ridotta di ciascuna mensilità accreditata;
  • Per i debiti verso l’Amministrazione finanziaria, si applica un regime speciale in base all’art. 72-ter delle disposizioni di riscossione. In particolare, se lo stipendio è fino a 2.500 euro, è pignorabile un decimo; tra i 2.501 e 5.000 euro, un settimo; oltre i 5.000 euro, un quinto.

Una tutela ulteriore è prevista per l’ultimo stipendio accreditato prima che la banca riceva l’ordine di esecuzione: questa somma non può essere pignorata, garantendo così al lavoratore la possibilità di sostenersi almeno fino al mese successivo.

Recenti sviluppi giurisprudenziali sul sequestro della “prima casa”

Parallelamente al tema del pignoramento, la Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti sul sequestro della prima casa in procedimenti penali tributari. La pronuncia più recente (26 ottobre 2025, Tribunale di Rovigo) ha affrontato la possibilità di sequestrare immobili anche se intestati a terzi, come il coniuge, e in particolare ha affrontato la questione della tutela dell’abitazione principale.

Il caso riguardava un’indagine per violazioni fiscali con accuse di dichiarazioni fraudolente mediante fatture inesistenti. L’indagato aveva impugnato il sequestro preventivo che includeva un’auto intestata alla moglie, un conto corrente di una società terza e un immobile cointestato adibito a residenza familiare. Il Tribunale aveva rigettato le richieste di riesame, decisione confermata dalla Suprema Corte.

  • L’indagato può impugnare il sequestro di beni non di sua proprietà solo se dimostra un interesse concreto e attuale, non solo per la restituzione patrimoniale familiare. Nel caso in esame, ciò non è stato ritenuto sufficiente;
  • La protezione della “prima casa” prevista dall’articolo 76 del D.P.R. 602/1973 si applica esclusivamente in ambito tributario e non penale. In altre parole, la norma tutela unicamente l’unico immobile di proprietà del debitore per debiti fiscali, ma non vale quando lo Stato agisce per confiscare i profitti derivanti da reati fiscali.

La Corte ha inoltre sottolineato che, in caso di confisca per equivalente, il valore dei beni sequestrati può corrispondere al profitto illecito ottenuto, e quindi anche la casa può essere aggredita, anche se regolarmente acquistata.

Il principio sancito si fonda sull’articolo 2740 del Codice civile, secondo cui il debitore risponde delle obbligazioni con l’intero patrimonio presente e futuro, salvo eccezioni specifiche. Di conseguenza, la tutela patrimoniale è più restrittiva in ambito penale rispetto a quello tributario, riflettendo la diversa finalità delle misure: riscossione del credito da un lato e colpire il guadagno illecito dall’altro.

Queste novità rafforzano l’importanza di una corretta consulenza legale per chi si trova coinvolto in procedimenti esecutivi o penali, al fine di tutelare al meglio i propri diritti e interessi patrimoniali.

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