Il quadro evidenzia una sfida cruciale per il sistema fiscale italiano: garantire che gli incrementi salariali non vengano annullati.
Gli aumenti in busta paga previsti per il 2025, spesso percepiti come una conquista salariale, si rivelano un’arma a doppio taglio per molti lavoratori italiani.
Il recente Rapporto sulla politica di bilancio 2025 dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (Upb) mette in luce un fenomeno noto come drenaggio fiscale (o fiscal drag), che rischia di annullare gli effetti degli incrementi salariali nominali, soprattutto nelle fasce di reddito medio-basse.
Il meccanismo del drenaggio fiscale e l’effetto Irpef
Il cuore del problema risiede nella struttura progressiva dell’Irpef, l’imposta sul reddito delle persone fisiche. Quando lo stipendio lordo aumenta, anche solo per effetto dell’adeguamento all’inflazione previsto dai contratti collettivi, si verifica un passaggio automatico a scaglioni fiscali più elevati.
Ciò significa che l’aumento nominale del reddito viene tassato a un’aliquota superiore, facendo crescere la pressione fiscale complessiva.
L’Upb sottolinea come questo meccanismo sia aggravato dalla mancata indicizzazione delle detrazioni fiscali e degli scaglioni Irpef all’inflazione. Di conseguenza, mentre il lordo aumenta, il netto percepito dal lavoratore cresce poco o nulla, con un impatto negativo sul reale potere d’acquisto.
La progressività dell’imposta, che dovrebbe garantire equità, in assenza di un adeguamento automatico, finisce per penalizzare proprio quei lavoratori che ricevono aumenti per far fronte al carovita.
L’impatto sui bonus e sulle detrazioni fiscali
Oltre all’effetto diretto sull’Irpef, il drenaggio fiscale si ripercuote anche sui vari bonus e detrazioni a favore dei lavoratori subordinati. Il Trattamento Integrativo (TIR) e il bonus per il taglio del cuneo fiscale, ad esempio, sono decrescenti all’aumentare del reddito. Ciò comporta una significativa riduzione dei benefici fiscali man mano che cresce il lordo in busta paga, con un’ulteriore erosione del netto.

Questa dinamica crea una vera e propria trappola: non solo l’aumento del lordo può essere in larga parte assorbito dall’Irpef, ma i bonus e le agevolazioni fiscali si riducono proprio quando il reddito nominale cresce. I lavoratori si trovano così a percepire un aumento della busta paga più consistente sulla carta, ma con un guadagno reale scarso o addirittura nullo.
Le proposte per riformare il sistema fiscale e contrattuale
Per contrastare questo fenomeno, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio suggerisce un intervento coordinato tra politiche fiscali e contrattuali. È fondamentale una revisione tempestiva e periodica degli scaglioni Irpef, delle detrazioni e dell’indicizzazione dei parametri fiscali, affinché gli adeguamenti salariali rispecchino realmente il costo della vita.
Inoltre, si auspica l’introduzione di crediti d’imposta compensativi specifici, in grado di neutralizzare gli effetti del drenaggio fiscale e di tutelare efficacemente il reddito da lavoro dipendente. Senza tali correttivi, il rischio è che gli stipendi nominali crescano senza tradursi in un reale miglioramento del potere d’acquisto, soprattutto in un contesto di inflazione elevata come quello attuale.
Solo attraverso una riforma strutturale sarà possibile evitare che il lavoratore si trovi in una condizione di svantaggio economico nonostante l’aumento nominale dello stipendio.